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Aprile,26,2024

CORONAVIRUS: TRIPLICATA MORTALITÀ PER INFARTO. TORNATI INDIETRO DI 20 ANNI

“L’attenzione della sanità sul Covid-19 e la paura del contagio rischiano di vanificare i risultati ottenuti in Italia con le terapie più innovative per infarto e gli sforzi per la prevenzione degli ultimi 20 anni”. E’ Ciro Indolfi, ordinario di Cardiologia presso l’Università Magna Graecia, a lanciare l’allarme in seguito di uno studio multicentrico nazionale condotto in 54 ospedali di tutta Italia, dei quali fanno parte il policlinico universitario “Mater Domini”, l’ospedale “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro, gli ospedali di Reggio, Vibo Valentia e Locri, al fine di valutare i pazienti acuti ricoverati nell’Unità di Terapia intensiva coronarica nella settimana compresa tra il 12 e il 19 marzo 2020, ovvero nella fase acuta dell’epidemia da Sars-cov-2, per poi confrontarla con quella dello stesso periodo dell’anno precedente. L’ordinario di Cardiologia spiega “come prima informazione importante che vi è stata una riduzione del 50% dei ricoveri per infarto miocardico nel 2020, durante il periodo pandemico. Questo calo è avvenuto al Nord, in Lombardia, dove era “giustificato” dall’affollamento dei pazienti in ospedale. Ma è stato osservato anche in Calabria, dove non c’è stato questo assalto dei pazienti Covid in ospedale. Nonostante i letti in Utic ci fossero, non si ricoveravano”. Dall’indagine è emerso che la situazione era omogenea sull’intero territorio nazionale. Dunque le cause di questa diminuzione dei ricoveri sarebbero riconducibili innanzitutto al timore del contagio che spingeva coloro i quali soffrivano di malattie cardiovascolari a non rivolgersi immediatamente al pronto soccorso, nonché al sistema delle emergenze che, principalmente al settentrione, era focalizzato solo sul Coronavirus. Lo studio che verrà pubblicato sull’European Heart Journal, la rivista di cardiologia più importante d’Europa, ha rivelato ulteriori aspetti. In primis i pazienti ricoverati in questo periodo hanno avuto una mortalità tre volte maggiore rispetto a quella che si verifica normalmente in ospedale. Ciò è legato ad una certezza, ossia che i pazienti sono arrivati troppo tardi poiché hanno aspettato che il dolore diventasse forte, e soprattutto ad una selezione di quelli più gravi. A tal proposito si è registrato una riduzione delle degenze degli affetti da scompenso (47%), aritmie e coloro che hanno una disfunzione dei pacemaker e dei defibrillatori. “In questa nuova Fase 2 è importante che ci sia una riorganizzazione della rete dell’emergenza cardiologica e di tutto il sistema cardiologico che è fondamentale quindi ci vuole un’attenzione massima”, sottolineando altresì che, per via dell’epidemia in corso, si è abbassata l’attenzione sulle malattie cardiovascolari, responsabili di circa 260mila decessi ogni anno. Peraltro è stato rilevato che i grandi risultati raggiunti in termini di sopravvivenza negli ultimi 20 anni, grazie alle innovative terapie per l’infarto e alle campagne di prevenzione, sembrano vanificati. “Nella cardiologia siamo tornati indietro. Abbiamo perso il vantaggio che avevamo ottenuto negli ultimi 20 anni, abbiamo fatto dei passi indietro notevolissimi. Rischiamo di perdere tutto quello che avevamo imparato. La cardiologia aveva fatto dei passi da gigante. E’ necessario ora ricostruire la rete dell’emergenza per tutte le patologie cardiovascolari tempo-dipendenti, ripristinare i letti e gli ambulatori di cardiologia utilizzati in questo periodo per Covid-19 e soprattutto non sottovalutare i sintomi, come ad esempio il dolore di tipo costrittivo al petto o difficoltà respiratorie e rivolgersi subito al 118”. Infine spiega come il coronavirus “ci ha insegnato che la sanità e la salute dell’uomo sono un bene primario”.

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