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Aprile,19,2024

GINO STRADA E I LUOGHI COMUNI

Sulla vicenda calabrese intervengono Rosy Bindi e Gino Strada. Bene. Si eleva il livello della discussione e si intravedono contorni chiari e politicamente seri! Il Ministro della Salute (l’ultimo riconoscibile, competente ed attendibile) ricorda che la legge che ha introdotto l’obbligo della programmazione e le regole per l’accreditamento con oneri a carico del SSN (cioè i controlli, l’appropriatezza, la qualità, i livelli essenziali di assistenza) al fine di rendere concreto il principio solidaristico ed universale, porta il suo nome. Ed ha ragione. Solo che ancora oggi, a distanza di trent’anni quasi, gran parte di questa legge resta, in pratica inattuata. Servirebbe, eccome, renderla viva per consentire, in Calabria, risparmi di spesa ed efficienza nelle cure. Basterebbe applicare alla lettera – ad esempio – l’articolo 8 quinquies per avere d’un sol colpo lo sfottimento delle liste d’attesa, l’abbattimento dell’emigrazione sanitaria, la valorizzazione ed il potenziamento della medicina del territorio e specialistica, la deospedalizzazione il controllo sulla qualità, il potenziamento della rete urgenza emergenza ed un consistente risparmio e virtuoso utilizzo delle risorse. Una chimera? Direi di no, è tutto scritto li, ed è a portata di mano, abbiamo personale professionalità e capacità per realizzarlo. Occorre solo una classe dirigente competente e con le idee chiare. Che magari apra un confronto anche con Gino Strada, per capire a cosa si riferisce quando dice che “bisogna spezzare il legame con i privati”. Saremmo senz’altro d’accordo con lui se avesse aggiunto (ma pensiamo che questo volesse dire) altre due o tre parole: i privati che imbrogliano, speculano e rubano. Sono questi i signori che dobbiamo allontanare. E, come Strada sa bene, stanno sia nel privato come nella pubblica amministrazione, negli ospedali, nelle Onlus e nei Tribunali». Un buon amministratore – che di questo ha bisogno la Calabria – è quello che distingue. Non quello che chiude gli occhi e parla per frasi fatte. Ma noi pensiamo – conoscendo la storia e la personalità di Gino Strada – che questo abbia voluto dire e che la sua frase “i privati devono smetterla di lavorare con soldi pubblici, se vogliono devono usare soldi loro” sia una semplificazione giornalistica per metterlo in contrapposizione con la Bindi. Tutte le strutture sanitarie del paese lavorano con soldi pubblici. Anche Emergency. Perché per fortuna il sistema prevede che le cure tutte, e per tutti, per il ricco e per il povero, vengano pagate con le risorse derivanti dal prelievo fiscale dove chi ha di più paga anche per chi ha di meno. Se invece l’intenzione di Strada dovesse essere quella di ripristinare il monopolio delle strutture a gestione esclusivamente pubblica escludendo quelle a gestione privata dalla possibilità di inserirsi nel servizio sanitario pubblico e lasciando loro solo la possibilità di farsi pagare dai cittadini, dovrebbe dirlo più chiaramente. Perché ciò significa semplice semplice, il ritorno alla sanità dei ricchi (quelli che possono permettersi eccellenze nel privato a pagamento) e dei poveri (quelli che possono andare solo negli ospedali pubblici). Ma noi pensiamo che non sia così. E se così dovesse pensare Strada non saremmo d’accordo. Il servizio sanitario pubblico italiano è stato una grande conquista democratica. La riforma Bindi ha messo tutti gli erogatori sullo stesso piano: quelli a gestione pubblica che impiegano totalmente le risorse pubbliche (immobili, detrazioni, investimenti, stipendi ecc. ecc.) e quelli a gestione privata, che investono in proprio e non fruiscono di alcun contributo pubblico. Tutte, pubbliche e private, vengono (dovrebbero essere) verificate allo stesso modo in termini di controlli, standard qualitativi dotazioni tecnologiche, requisiti strutturali ed organizzativi. Tutti devono erogare diagnosi e cure senza oneri per tutti i cittadini indistintamente, e tutte – pubbliche e private – devono essere remunerate nello stesso modo con tariffe e criteri e tetti di spesa fissati dallo Stato. Cioè il contrario di ciò che qualche testafina affida allo sfiatatoio dei social. Perché in realtà le strutture pubbliche non vengono remunerate a tariffa bensì a piè di lista, per ciò che fanno e per ciò che non fanno; in sostanza per ciò che costano. Utilizzano beni pubblici e usufruiscono degli investimenti dello Stato, e pagano tutto, anche gli immani sprechi, con soldi pubblici. Le strutture private vengono remunerate con contratti e con tariffe imposte dallo Stato e solo per le prestazioni che erogano. Non usufruiscono di nessun bene pubblico, di nessun investimento pubblico, ovviamente non sprecano (e se lo fanno è a loro danno) e pagano gli stipendi con i propri soldi. Dunque – con buona pace degli urlatori nelle arene televisive e non – non risucchiano neanche un centesimo pubblico. Vengono pagate (spesso tardi e male) per un lavoro svolto come servizio pubblico. Come è giusto che sia. Altrimenti dovrebbe dirsi che anche un medico di un qualsiasi reparto ospedaliero, quando riceve lo stipendio, risucchia soldi pubblici. Le truffe, le speculazioni e gli imbrogli sono altra cosa. Vanno denunciati con nomi e cognomi senza incriminare un sistema o una categoria intera. Organizzare tutto ciò senza tollerare sprechi, senza consentire imbrogli, senza chiudere gli occhi davanti alle speculazioni è compito della Regione. Si chiama governo. E deve essere fatto da onesti e competenti. Quello che è mancato in Calabria e continuerà a mancare se si continuerà a pensare a improbabili soluzioni con prefetti, generali e poliziotti. Loro cercano – benemeriti – di snidare gli ‘ndranghetisti ed i disonesti di tutti i tipi. A noi servono i buoni governanti, scelti e selezionati nei modi virtuosi della democrazia. Ma per riuscirci occorre che la classe dirigente sia selezionata per scelta e non per nomina. Semplicemente perché la nomina fa declinare verso il basso il livello qualitativo della politica. Questo è il vero problema, alla fine.

Enzo Paolini

Presidente AIOP Calabria

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