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Aprile,26,2024

OPERAZIONE PEDIGREE: IL BOSS IMPARTIVA ORDINI DAL CARCERE

L’inchiesta della Dda di Reggio Calabria ha consentito di accertare come il vertice della cosca Serraino sia attualmente rappresentato da Maurizio Cortese, genero di Paolo Pitasi, già uomo di fiducia di Francesco Serraino, il “boss della montagna”, assassinato durante la seconda guerra di ‘ndrangheta. Nel corso degli anni, Cortese – catturato da latitante nel 2017 dalla Squadra Mobile e dai Carabinieri – ha acquisito una sempre maggiore importanza nell’ambito dei gruppi mafiosi, riuscendo a scalare le gerarchie della cosca Serraino. Cortese, in particolare, è riuscito a gestire dal carcere gli affari illeciti della cosca attraverso i colloqui con la moglie, Stefania Pitasi, le comunicazioni epistolari con altri affiliati, nonché con l’utilizzo di apparecchi telefonici cellulari introdotti abusivamente all’interno del carcere. Pur essendo detenuto, quindi, Cortese ha continuato a svolgere le sue funzioni di capo cosca, impartendo direttive dal carcere per eseguire estorsioni, ordinare danneggiamenti di esercizi commerciali, imporre la fornitura di beni e per pianificare intestazioni fittizie di attività commerciali. Dall’indagine sono emersi diversi elementi che dimostrano come il capocosca avesse a disposizione in carcere un telefono cellulare – rinvenuto il 9 aprile 2019 dalla Polizia Penitenziaria – con il quale riusciva a comunicare riservatamente con l’esterno e ad impartire disposizioni alla moglie la quale si prestava a fare da postina e ad altri sodali, “con l’uso di un linguaggio criptico – riferiscono gli investigatori – ma attinente alle dinamiche e alle attivita’ delittuose della cosca di cui continuava a tenere le redini nonostante lo stato di detenzione”. Le indagini condotte dalla Squadra Mobile, sotto le direttive dei magistrati della Dda di Reggio Calabria, hanno portato alla luce le dinamiche criminali delle due cosche della ‘ndrangheta operanti, attraverso le loro articolazioni territoriali, nel quartiere di San Sperato e nella frazione Gallina di Reggio Calabria nonché nel comune di Cardeto e a Gambarie d’Aspromonte, principalmente nel settore delle estorsioni in danno di imprenditori e commercianti anche attraverso l’imposizione di beni e servizi, nonché nell’impiego dei proventi delle attività delittuose in bar e ortofrutta, intestandoli a sodali o a compiacenti prestanomi allo scopo di eludere il sequestro con l’applicazione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali. Il clan Serraino ordino’ la distruzione del bar di un affiliato a Reggio Calabria pur di favorire il gestore di un altro locale. L’episodio emerge dagli atti dell’operazione “Pedigree” che stamani ha portato all’esecuzione di 12 arresti da parte della Polizia, su ordine della Dda di Reggio Calabria. Il nuovo capo cosca, Maurizio Cortese, non avrebbe esitato a ordinare la distruzione del Locale dell’affiliato Domenico Morabito, al fine di avvantaggiare Antonino Filocamo, operante nella stessa zona di viale Calabria, dal quale avrebbe ottenuto maggiori prebende. Morabito, gestore di fatto del bar “Mary Kate” sul viale Calabria di Reggio, pagava Cortese per essere stato autorizzato ad aprire l’esercizio commerciale nella zona notoriamente controllata dai Labate. Tuttavia, il capo cosca, ritenendosi non soddisfatto dalle prestazioni di Morabito, che, peraltro, avrebbe riferito di aver aperto l’esercizio commerciale senza il placet di alcuno, ha preferito ampliare i suoi guadagni accettando offerte più cospicue da Filocamo, titolare del “Royal Cafe'”, ubicato nelle vicinanze del “Mary Kate” che Cortese ha deciso quindi di far chiudere con due gravi danneggiamenti eseguiti mediante incendio con il concorso di Filocamo. Nella serata del 12 aprile 2019, il bar “Mary Kate” subi’ un incendio doloso. Filocamo e Cortese avrebbero concordato che se Morabito avesse riaperto il bar, sarebbero avvenuti ulteriori danneggiamenti.

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